Il danno da perdita della capacità lavorativa specifica deve essere liquidato ponendo a base del calcolo il reddito che la vittima avrebbe potuto conseguire proseguendo nell'attività lavorativa andata perduta a causa dell'illecito o dell'inadempimento. Tale criterio deve essere applicato anche nell'ipotesi in cui la vittima versi in stato di disoccupazione, ove si tratti di disoccupazione involontaria e incolpevole, nonché temporanea e contingente, sussistendo la ragionevole certezza che il danneggiato, qualora fosse rimasto sano, avrebbe stipulato un nuovo rapporto di lavoro avente ad oggetto la medesima attività lavorativa o comunque una attività confacente al proprio profilo professionale.

Questo il principio affermato da Cass. civile sez. III, 16 febbraio 2024, n. 4289.

La vicenda processuale trae origine dalla domanda di risarcimento dei danni conseguenti alla imprudente ed imperita esecuzione di un intervento chirurgico. I Giudici di merito avevano riconosciuto il danno non patrimoniale e il danno patrimoniale emergente da spese mediche. La Corte d’Appello, in riforma della sentenza di primo grado, aveva accolto anche la domanda di risarcimento del danno patrimoniale da perdita della capacità lavorativa, liquidandolo, in via equitativa, in misura pari a un terzo del danno non patrimoniale, non venendo in rilievo un’incapacità assoluta.

Il danneggiato ha proposto ricorso per cassazione censurando la sentenza di merito, tra l’altro, per avere accertato la sussistenza dei presupposti per la liquidazione del danno patrimoniale da mancato guadagno per l'abolizione della capacità lavorativa specifica, salvo poi, contraddittoriamente, negare la liquidazione del relativo danno, sul rilievo della "ipotetica possibilità" di svolgimento di altra attività, tra l'altro comunque "non confacente con la propria professionalità".

La Cassazione muove dall’assunto che il “danno patrimoniale da lucro cessante, inteso come perdita dei redditi futuri in relazione al lavoro svolto al momento dell'evento dannoso, va provato dal danneggiato mediante la dimostrazione che il sinistro abbia determinato la cessazione del rapporto lavorativo in atto e la perdita, per il futuro, del relativo reddito”.

Come affermato dalla più recente giurisprudenza di legittimità, “il reddito perduto dalla vittima costituisce la base di calcolo per la quantificazione del danno da perdita della capacità lavorativa specifica, la quale, peraltro, deve tener conto anche della persistente – benché ridotta – capacità del danneggiato di procurarsi e mantenere, seppur con accresciute difficoltà (il cui peso deve essere adeguatamente considerato), un'altra attività lavorativa retribuita”(Cass., 23 maggio 2023, n.14241).

Pertanto – rileva l’ordinanza in commento - il danno da perdita della capacità lavorativa deve essere liquidato “moltiplicando il reddito perduto per un adeguato coefficiente di capitalizzazione, utilizzando quali termini di raffronto, da un lato, la retribuzione media dell'intera vita lavorativa della categoria di pertinenza, desunta da parametri di rilievo normativi o altrimenti stimata in via equitativa, e, dall'altro, coefficienti di capitalizzazione affidabili, in quanto aggiornati e scientificamente corretti, quali, ad esempio, quelli approvati con provvedimenti normativi per la capitalizzazione delle rendite previdenziali o assistenziali oppure quelli elaborati specificamente nella materia del danno aquiliano”.

Come ribadito, ancora di recente, da Cass. 16 gennaio 2024, n. 1607 (con nota, sul nostro sito, di Maria Santina Panarella, dal titolo, Come deve essere risarcito il danno da perdita di capacità lavorativa specifica in caso di illecito?), “il danno patrimoniale da lucro cessante, inteso come perdita dei redditi futuri, va liquidato tenendo conto di tutte le retribuzioni (nonché di tutti i relativi accessori e probabili incrementi, anche pensionistici) che egli avrebbe potuto ragionevolmente conseguire in base a quello specifico rapporto di lavoro, in misura integrale e non in base alla sola percentuale di perdita”.

Se è vero che questi criteri sono calibrati sul caso di un rapporto di lavoro in essere al momento dell’evento dannoso, la giurisprudenza di legittimità ormai estende l’applicazione degli stessi al caso in cui lo stato di disoccupazione, oltre che involontario, sia anche contingente e temporaneo, sussistendo la ragionevole certezza o addirittura la positiva dimostrazione che, se non vi fosse stato l'illecito, il danneggiato avrebbe ripreso lo svolgimento della medesima attività lavorativa o comunque di un'attività confacente alle sue attitudini, idonea a produrre lo stesso reddito.

Come rilevato da Cass. n. 9682 del 2020, ai fini della liquidazione del danno da perdita della capacità lavorativa specifica, il Giudice deve chiedersi:

  1. se possa ritenersi che la vittima, se fosse rimasta sana, avrebbe cercato e trovato un lavoro confacente al proprio profilo professionale;
  2. se i postumi residuati all'infortunio consentano o meno lo svolgimento di un lavoro confacente al profilo professionale della vittima.

L’ordinanza in commento, applicando tali principi, conclude che la Corte territoriale ha liquidato irragionevolmente, nella misura di un terzo del danno non patrimoniale già liquidato dal primo giudice, il danno patrimoniale di cui era stato invocato il ristoro, senza tenere conto che:

  • il danneggiato aveva sempre svolto l'attività lavorativa di autotrasportatore;
  • al momento dell'illecito si trovava in stato di disoccupazione non per propria volontà o colpa, ma per vicende oggettive che avevano colpito l'impresa datrice di lavoro;
  • sussisteva la ragionevole certezza - se non la positiva dimostrazione - che lo stato di disoccupazione sarebbe cessato, con ripresa della medesima attività lavorativa, ove non vi fosse stato l'illecito, per avere egli ricevuto una proposta di assunzione da un'altra impresa.
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