Lo ha recentemente statuito la Cassazione con la pronuncia n. 37946/2022.

Nell’ambito di una controversia avente ad oggetto la legittimità di un licenziamento intimato per g.m.o. – dichiarato illegittimo dalla Corte di Appello per manifesta insussistenza del nesso causale tra le ragioni organizzative addotte e l’atto datoriale di recesso –, il datore di lavoro, in via subordinata, ha chiesto venisse detratto dall’indennità risarcitoria dovuta al lavoratore quanto quest’ultimo, successivamente al licenziamento, aveva percepito a titolo retributivo in ragione dello svolgimento di un’altra attività lavorativa (è questo, come noto, il c.d. aliunde perceptum).

Sul punto, la Corte ha specificato che per il datore di lavoro non è sufficiente invocare la previsione di legge che prevede la detraibilità di tali somme dall’indennità risarcitoria dovuta al lavoratore licenziato illegittimamente, dovendo “essere ritualmente allegati...dalla parte che lo deduca... gli elementi fattuali posti a fondamento dell’aliunde perceptum”. Solo l’allegazione di quei fatti che sono rilevanti in punto di percezione da parte del lavoratore di altri redditi e, come ovvio, la loro successiva prova in giudizio (sia per effetto della mancata contestazione da parte del lavoratore degli stessi, sia in ragione della loro dimostrazione tramite prova diretta o presuntiva) rende operante la previsione circa la detraibilità dell’aiunde perceptum, non essendo sufficienti richieste istruttorie quali la richiesta di documentazione all’I.N.P.S. o all’Agenzia delle Entrate, “tenuto conto che le richieste istruttorie possono essere correttamente volte alla sola dimostrazione dei fatti ritualmente indicati ed allegati”.

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