In una recentissima sentenza (n. 3561 del 22 luglio 2021), la Corte d’Appello di Napoli, sez. lavoro, ha affrontato la questione – sulla quale non constano precedenti specifici – se la sospensione cautelare del rapporto ad iniziativa del datore di lavoro, in pendenza di verifiche circa l’esistenza di eventuali inadempimenti del lavoratore, sia applicabile anche al contratto d’agenzia.
È noto – e lo ricorda anche la Corte napoletana – che l’istituto della sospensione cautelare (variamente denominata nei contratti collettivi di categoria che talora la disciplinano espressamente) ha, nell’ambito del rapporto di lavoro subordinato, coordinate sufficientemente definite e pacifiche, accreditate da un indirizzo giurisprudenziale consolidato da oltre vent’anni (cfr. già Cass. 15 novembre 1999 n. 12631 e poi Cass. 8 gennaio 2003 n. 89).
Si tratta di una prerogativa del datore di lavoro, che costituisce espressione del potere direttivo ed organizzativo di quest’ultimo, e che gli consente, nel tempo occorrente per svolgere gli accertamenti necessari a verificare eventuali illeciti disciplinari del lavoratore subordinato (oltre che per formulare le contestazioni ex art. 7 L. n. 300/70 del caso), di allontanarlo provvisoriamente dal servizio. In assenza di una diversa previsione della contrattazione collettiva, la sospensione cautelare non determina il venir meno del diritto del lavoratore alla retribuzione.
Secondo la pronuncia della Corte d’Appello di Napoli qui illustrata, sono proprio i tratti dell’istituto appena richiamati – funzionalità della sospensione cautelare al procedimento disciplinare; perdurante sussistenza del diritto del lavoratore in costanza di sospensione – ad escludere che lo stesso possa trovare applicazione al rapporto d’agenzia, al quale quei tratti sono estranei.
Pertanto, secondo la Corte partenopea, nel rapporto d’agenzia, il preponente, in presenza di possibili, ma non ancora sufficientemente accertati, inadempimenti dell’agente, potrebbe senz’altro intimargli il recesso per giusta causa, salvo poi revocarlo qualora si dovesse convincere, a seguito degli argomenti dell’agente, dell’assenza di giustificazioni per l’interruzione del rapporto.
Si dimentica, però, in questo modo che il contratto d’agenzia, così come lo stesso rapporto di lavoro subordinato, in assenza di eventuali previsioni speciali, sono pur sempre assoggettati alla regolamentazione dettata dal codice civile in tema di obbligazioni e di contratto in generale.
In particolare, ed in questo caso, la disposizione che la Corte ha trascurato è l’art. 1206 c.c., in tema di mora del creditore: quest’ultimo può rifiutare la prestazione del debitore, se dimostra di avere un motivo legittimo per farlo. Ed un motivo legittimo ben può consistere in quello di verificare, durante il periodo di rifiuto/sospensione della prestazione, se il debitore – controparte contrattuale ha posto in essere un qualche inadempimento rilevante, in ipotesi, ai fini dell’intimazione di un recesso per giusta causa.
Naturalmente, se il creditore (in questo caso, preponente nel rapporto d’agenzia) non offre la prova della legittimità del rifiuto della prestazione, dovrà risarcire i danni, commisurati, in particolare, proprio all’impossibilità di lavorare, e di maturare provvigioni, che il debitore/agente ha subito: ed anche qui la risposta la dà il codice civile, all’art. 1207, 2° co.
Non ha invece alcun senso, per escludere la possibilità della sospensione del rapporto d’agenzia ad iniziativa del preponente e durante gli accertamenti circa eventuali inadempimenti dell’agente, trarre argomento dal fatto che non sia prevista a favore di quest’ultimo la garanzia della retribuzione in costanza di sospensione: questo dipende infatti da una caratteristica strutturale del rapporto d’agenzia, nel quale l’agente viene compensato solo se, e nella misura in cui, promuove contratti per conto del preponente.
In conclusione: il diritto del rapporto di lavoro (anche) nell’area cui ha riguardo l’art. 409 n. 3 c.p.c. ha certo la sua specificità, ma non dimentichiamoci del codice civile!
La natura di durata del contratto d’agenzia fa sì che, durante la sua esecuzione, si possa delineare un’esigenza del preponente di modificare alcuni degli aspetti della regolamentazione del rapporto.
Il problema non trova specifica disciplina nel sistema del nostro Codice Civile, mentre è stato da tempo oggetto di regolamentazione da parte degli a.e.c.
La contrattazione collettiva, pur tenendo conto della sopra menzionata esigenza, la contempera con quella di tutela della posizione dell’agente avverso modifiche che risultino tali da incidere in maniera significativa sulla sostanza economica del rapporto.
Si pensi, ad esempio, all’art. 3 dell’a.e.c. per gli agenti del settore Commercio, che, muovendo proprio dalla rilevazione dell’esigenza di flessibilità, contempla la possibilità di variare le provvigioni.
In sintesi, tale norma distingue varie ipotesi, prevedendo che:
La tutela dell’agente si risolve, poi, nel potere attribuito a quest’ultimo di comunicare, entro 30 giorni, di non accettare le variazioni che modifichino sensibilmente il contenuto economico del rapporto, con la conseguenza che, in questo caso, la comunicazione del preponente costituirà preavviso per la cessazione del rapporto di agenzia ad iniziativa della casa mandante, con il corollario della debenza, da parte della Società, delle indennità di fine rapporto.
Al di là delle singole e specifiche disposizioni previste dalla contrattazione collettiva, a quali limiti deve sottostare lo jus variandi riconosciuto in capo al preponente?
La giurisprudenza di legittimità è stata chiamata già da tempo ad affrontare tale questione.
Da ultimo, nell’ordinanza n.14181 del 24 maggio 2021, la Corte ha espressamente richiamato le precedenti prenunce secondo le quali, nel contratto di agenzia, l’attribuzione al preponente del potere di modificare talune clausole, e in particolare quella relativa al portafoglio clienti, “può trovare giustificazione nell’esigenza di meglio adeguare il rapporto alle esigenze delle parti, così come esse sono mutate durante il decorso del tempo, ma, perché non ne rimanga esclusa la forza vincolante del contratto nei confronti di una delle parti contraenti, è necessario che tale potere abbia dei limiti e in ogni caso sia esercitato dal titolare con l’osservanza dei principi di correttezza e di buona fede”.
Già Cass. n. 5467/2000 aveva affermato che il preponente potesse modificare alcune clausole, nello specifico, quelle relative all'ambito territoriale e alla misura delle provvigioni, alla luce della necessità di meglio adeguare il rapporto alle esigenze delle parti, e che, però, “affinché tale diritto non si traduca in un sostanziale aggiramento della forza cogente del contratto, è necessario che tale potere abbia dei limiti e, in ogni caso, che sia esercitato dal relativo titolare con l’osservanza dei principi di correttezza e buona fede”.
Tale pronuncia era stata richiamata anche da Cass. n. 13580 del 2 luglio 2015: in quel caso la Corte aveva affrontato una vicenda nell’ambito della quale il preponente aveva ridotto il portafoglio clienti degli agenti dell’88 %. La Corte, pur dando atto del fatto che la variazione unilaterale del portafoglio - che aveva comportato una riduzione dell'88% del valore delle provvigioni di competenza dell’agente nell'anno civile precedente la medesima variazione – era espressamente consentita dalla clausola collettiva di settore, aveva ritenuto che la stessa fosse “di entità tale da risultare contraria ai principi di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c., astrattamente applicabili pure a fronte dell'esercizio di diritti potestativi”.
La clausola invocata dalla Società in quella sede ricorrente, se applicata anche a variazioni manifestamente eccessive delle condizioni contrattuali, tali da risultare di fatto inaccettabili, avrebbe finito, secondo la Corte, per alterare la causa stessa del contratto di agenzia, ponendo l’agente nell’oggettiva impossibilità di proseguire il rapporto anche soltanto in via provvisoria.
E, secondo la Cassazione, rendere all’agente di fatto impossibile accettare, anche soltanto in via provvisoria, tale variazione precluderebbe la funzionalità stessa della clausola collettiva nella parte in cui stabilisce che la comunicazione di variazione decisa dal preponente, in caso di non accettazione da parte dell’agente, costituisce preavviso per la cessazione del rapporto di agenzia ad iniziativa della casa mandante.
Dunque, sebbene sia vero che le modifiche unilaterali del contratto da parte della preponente siano contemplate dagli accordi collettivi, le stesse devono comunque essere rispettose dei principi di correttezza e buona fede.
Jus variandi sì, scorrettezza no.