Lo svolgimento, a ritmi necessariamente serrati, della campagna vaccinale anti Sars – Cov2 ed il verificarsi – in alcuni, e fortunatamente assai rari, casi – di reazioni avverse severe o addirittura letali alla somministrazione del vaccino rende di grande attualità il problema della responsabilità del medico che abbia proceduto alla inoculazione.
Al fine di delimitare l’ambito della questione, occorre subito segnalare che, per quello che concerne la responsabilità penale, il legislatore è senz’altro intervenuto con la disposizione dell’art. 3, co. 1° del d.l. n. 44/2021, convertito, sullo specifico punto senza modifiche, nella l. 71/2021. In particolare, la norma in questione, sotto la rubrica ‘Responsabilità penale da somministrazione del vaccino anti Sars – Cov2’, prevede che “Per i fatti di cui agli articoli 589 e 590 del codice penale verificatisi a causa della somministrazione di un vaccino per la prevenzione delle infezioni da Sars – Cov2, effettuata nel corso della campagna vaccinale straordinaria in attuazione del piano di cui all’art. 1, comma 457, della legge 30 dicembre 2020 n. 178, la punibilità è esclusa quando l’uso del vaccino è conforme alle indicazioni contenute nel provvedimento di autorizzazione alla messa in commercio emesso dalle competenti autorità e alle circolari pubblicate nel sito internet istituzionale del Ministero della Salute relative alle attività di vaccinazione”. Pertanto, e salva la soluzione di alcune questioni interpretative che la disposizione pure solleva – e per un’efficace messa a fuoco delle quali si rinvia alla ‘Relazione su novità normativa’, n. 35/2021, del 21 giugno 2021 del Servizio Penale dell’Ufficio del Massimario e del Ruolo presso la Corte Suprema di Cassazione https://www.cortedicassazione.it/cassazione-resources/resources/cms/documents/Rel.35-2021.pdf – sul versante penale l’assetto della materia può dirsi sufficientemente definito.
In assenza di una regolamentazione legislativa specifica in materia di responsabilità civile il problema si presenta invece in questo ambito, anche se forse solo all’apparenza, certamente più complesso. Qui, infatti, verrà in considerazione la disciplina generale dell’art. 7 della L. n. 24/17 e, in particolare, il 3° co. della medesima che, per ragioni di politica del diritto ormai largamente note (si veda, per una prima ed assai sintetica messa a punto, all’indomani dell’entrata in vigore della legge, C. Scognamiglio, Regole di condotta, modelli di responsabilità e risarcimento del danno nella nuova legge sulla responsabilità sanitaria, in Corr. Giur., 2017, 740 ss.), ha ricondotto la responsabilità del medico all’ambito della responsabilità extracontrattuale (naturalmente, a meno che il medico non abbia agito sulla base di un’obbligazione contrattualmente assunta nei confronti del paziente).
Pertanto, il destinatario della vaccinazione che, subite conseguenze dannose dalla medesima, intendesse prospettare una responsabilità del medico inoculante, dovrebbe dimostrare, tra gli altri elementi ed in particolare, la colpa del medico (secondo le regole generali in materia di onere della prova, così come le stesse si concretizzano all’interno dell’art. 2043 c.c.), oltre che il nesso di causalità tra il comportamento in ipotesi colposo tenuto dal somministrante la vaccinazione ed il danno verificatosi. E poiché, a sua volta, la colpa del medico – sulla base di un approccio interpretativo largamente accreditato – dovrebbe consistere nella violazione delle regole di condotta, e delle linee di guida, che la specificità della prestazione medica impone, la linea difensiva del medico in ipotesi convenuto in giudizio potrà agevolmente imperniarsi sulla deduzione del rispetto delle indicazioni impartite in materia dal Ministero della Salute, sia per quanto attiene alla fase del triage, sia per quel che riguarda il periodo di osservazione del paziente immediatamente successivo alla vaccinazione.
In altre parole, ed ovviamente a livello di prima approssimazione ad un discorso che comunque presenta profili di notevole complessità, si può dire che non sarà certo facile, per i vaccinati, prospettare profili di responsabilità del medico che abbia proceduto all’inoculazione, salve le ipotesi – pressoché esclusivamente teoriche – di negligenza o imperizia del medico nell’atto stesso della somministrazione.
Un’altra prospettiva del discorso è, poi, quella legata all’estensione, anche ai danni derivanti dalla vaccinazione anti Sars – Cov2, del meccanismo di tutela indennitaria previsto dalla l. n. 210/92. Infatti, e pur non essendo allo stato, com’è noto, la vaccinazione in questione obbligatoria, la Corte Costituzionale ha da tempo allargato (sentenza n. 268/17) l’ambito di applicazione della predetta tutela indennitaria alla vaccinazione antiinfluenzale, in quanto raccomandata, ancorché non obbligatoria (per le condizioni ricorrendo le quali si può prevedere l’obbligatorietà di una vaccinazione, si veda la recentissima decisione della CGUE dell’8 aprile 2021 https://www.studioclaudioscognamiglio.it/corte-europea-dei-diritti-delluomo-i-vaccini-obbligatori-possono-essere-considerati-necessari-in-una-societa-democratica/).
Un analogo modulo argomentativo ha condotto, più di recente, il Giudice delle leggi (sentenza n. 118/2020) ad operare identica estensione anche alla vaccinazione anti – epatite A, anch’essa raccomandata, benché non obbligatoria; e poiché non è seriamente discutibile, tanto più dopo l’art. 3 del d.l. 105/21 e l’art. 1 del d.l. 111/21, che la vaccinazione anti Sars – Cov2 sia (giustamente e fortemente) raccomandata, è ragionevole prevedere l’applicazione anche alla medesima, o in via senz’altro legislativa o sulla base di un ulteriore intervento della Corte Costituzionale (necessario, in ipotesi, per le ragioni chiarite appunto da Corte Cost. n. 118/2020), della tutela indennitaria sancita dalla l. n. 210/92.
Certo, questa legge prevede un indennizzo – in passato riconosciuto, peraltro, spesso con lentezza dall’Amministrazione statale competente – e non un risarcimento del danno ‘pieno’: ma si tratta comunque di una misura importante e che conferma come le vaccinazioni contro le malattie infettive, siano anche, se non soprattutto, una questione di solidarietà sociale, che è appunto il valore che la tutela indennitaria mira a realizzare.
Via libera al passe sanitarie, equivalente d'Oltralpe del green pass italiano, da parte del Conseil constitutionnel francese (https://www.conseil-constitutionnel.fr/decision/2021/2021824DC.htm).
Il progetto di legge di gestione della crisi sanitaria che lo prevede - adottato il 25 luglio scorso dalla Assemblée Nationale - è stato ritenuto, sul punto, conforme al quadro normativo costituzionale, perché tale da attuare, anche alla luce del circoscritto (allo stato) orizzonte di vigenza temporale dell'obbligo di esibire il passe sanitaire per accedere, tra l'altro, a grandi magazzini, centri commerciali e trasporti pubblici, un adeguato bilanciamento tra libertà di circolazione ed esigenza di tutela della salute.
Grazie alla diversa tecnica di controllo di costituzionalità delle leggi vigente in Francia, dove è possibile anche il controllo, da parte del Conseil, preventivo alla promulgazione della legge, ecco, dunque, già un'indicazione importante ed autorevole circa la legittimità costituzionale del green pass che oggi entrerà in vigore in Italia.
Un’ampia, recentissima sentenza della Corte di Cassazione (14 giugno 2021 n. 16743) affronta il tema delle conseguenze di una protratta, ed ingiustificata, inerzia del locatore nel pretendere dal conduttore il pagamento dei canoni.
Nel caso di specie, era accaduto che, nell’ambito di un contratto di locazione di un immobile urbano ad uso abitativo di proprietà di una società familiare, il conduttore – figlio di altro socio della predetta società – non era stato richiesto del pagamento dei canoni per circa sette anni. La prima richiesta di pagamento, estesa a tutti gli arretrati maturati e poi fatta valere in giudizio, era infatti intervenuta all’indomani dell’assegnazione dell’immobile in questione alla moglie divorziata del conduttore – figlio.
Nel giudizio di secondo grado (disattesa dalla Corte d’Appello, così come aveva già fatto il Tribunale, la tesi, svolta in via principale dal conduttore, della natura simulata del contratto di locazione in quanto tale, che avrebbe celato un rapporto gratuito), la domanda di pagamento dei canoni era stata accolta solo per quelli maturati a partire dalla prima richiesta stragiudiziale: ciò sulla premessa che la prolungata inerzia del locatore aveva determinato un ragionevole affidamento del conduttore circa l’assenza di volontà della controparte contrattuale di far valere in effetti il proprio credito.
La Cassazione conferma l’impostazione della decisione d’appello e ne trae occasione per un’articolata messa a punto della rilevanza che può assumere l’inerzia del creditore nel pretendere il pagamento di quanto a lui periodicamente dovuto nell’ambito di un contratto di durata: la conclusione è che, allorché questa inerzia si protragga per un arco temporale particolarmente lungo in relazione alla durata complessiva del rapporto, e si inserisca in un contesto di circostanze tali da fondare l’affidamento del debitore nel senso che il credito gli fosse stato rimesso per contegno concludente, l’improvvisa richiesta di adempimento integrale del debito pregresso costituisce esercizio abusivo del diritto.
Una riflessione compiuta sul ricco impianto argomentativo della sentenza – attento anche alle suggestioni dell’istituto tedesco della Verwirkung ed alle prospettive applicative del canone di buona fede nell’attuazione del contratto – non può essere svolta in poche righe.
Quel che è certo è che la sentenza rappresenta un monito per i creditori troppo a lungo inerti di prestazioni periodiche in contratti di durata: le loro pretese, quanto meno per gli arretrati maturati, rischiano di essere travolte e per di più sulla base di un’eccezione in senso lato, a differenza di quella di prescrizione, e dunque non assoggettata al regime del necessario rilievo di parte ed alle preclusioni processuali proprie delle eccezioni in senso stretto.