Con decreto del 10 ottobre 2024, la Prima Presidente della Corte di Cassazione ha dichiarato l’ammissibilità del rinvio pregiudiziale disposto dal Tribunale di Siracusa ai sensi dell’art. 363 bis c.p.c. in tema di obblighi restitutori in caso di mutuo.

La questione centrale posta alla base dell’ordinanza di rinvio attiene al momento in cui, in alcune convenzioni negoziali, sia possibile ravvisare una traditio che comporti effettivamente la disponibilità delle somme mutuate in capo al mutuatario, con corollari di notevolissimo rilievo anche dal punto di vista dell’idoneità del contratto, ove stipulato nelle forme dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata da notaio, ad integrare un titolo esecutivo.

Più precisamente, le questioni di diritto oggetto del rinvio pregiudiziale possono essere riassunte come segue:

  • se, in presenza di accordo negoziale con cui una banca concede una somma a mutuo effettivamente erogandola al mutuatario ma convenendo al tempo stesso che tale importo sia immediatamente ed integralmente restituito alla mutuante con l’intesa che esso sarà svincolato in favore del mutuatario solo al verificarsi di determinate condizioni, la configurabilità a carico del medesimo mutuatario di una obbligazione attuale di restituzione della somma – per gli effetti di cui all’art. 474 , comma 1, c.p.c. – imponga inderogabilmente che l’importo erogato sia stato successivamente svincolato in favore del mutuatario ovvero se, al contrario, possano prospettarsi regolamenti contrattuali idonei a determinare l’insorgenza di un obbligo restitutorio caratterizzato da attualità anche prima del detto svincolo”;
  • conseguentemente, se, in presenza di accordo negoziale con cui una banca concede una somma a mutuo effettivamente erogandola al mutuatario ma convenendo al tempo stesso che tale importo sia immediatamente ed integralmente restituito alla mutuante con l’intesa che esso sarà svincolato in favore del mutuatario solo al verificarsi di determinate condizioni, il contratto così stipulato nella forma dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata possa fungere da titolo esecutivo ai sensi dell’art. 474, comma 2, n. 3, c.p.c. contro il mutuatario solo allorché nelle medesime forme dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata sia attestato lo svincolo delle somme già mutuate e ritrasferite alla mutuante ovvero se, al contrario, un siffatto contratto concluso nella forma dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata possa costituire titolo esecutivo ai sensi dell’art. 474, comma 2, n. 3, c.p.c. anche in assenza di attestazione dello svincolo effettuata secondo le modalità previste da tale ultima disposizione, allorché il regolamento contrattuale sia idoneo a determinare l’insorgenza di un obbligo restitutorio caratterizzato da attualità anche prima di detto svincolo”.

La Prima Presidente ha ritenuto ammissibili le questioni sollevate dal Tribunale di Siracusa essendo le stesse oggetto di un contrasto giurisprudenziale non ancora risolto dalla Cassazione.

Secondo un primo orientamento l’accordo negoziale stipulato nella forma dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata, con cui una banca concede una somma a mutuo effettivamente erogandola al mutuatario ma convenendo al tempo stesso che tale importo sia immediatamente ed integralmente restituito alla mutuante con l’intesa che esso sarà svincolato in favore del mutuatario solo al verificarsi di determinate condizioni, è da solo idoneo a costituire titolo esecutivo nonostante all’erogazione iniziale del denaro al cliente abbiano fatto immediato seguito la sua restituzione alla banca e la sua costituzione in deposito (v. ex multis Cass. 9229/2022).

Secondo altro orientamento invece il predetto accordo “ancorchè idoneo a perfezionare un contratto reale di mutuo, non consente di ritenere che dal negozio stipulato tra le parti risulti una obbligazione attuale, in capo al mutuatario, di restituzione della predetta somma (immediatamente rientrata nel patrimonio della mutuante) in quanto tale obbligo sorge, per esplicita volontà delle parti stesse, solo nel momento in cui l’importo erogato è successivamente svincolato ed entrato nel patrimonio del soggetto finanziato”. I fautori del secondo orientamento ritengono di escludere che un siffatto contratto possa costituire titolo esecutivo contro il mutuatario “essendo necessario a tal fine un ulteriore atto, necessariamente consacrato nelle forme richieste dall’art. 474 c.p.c. (atto pubblico o scrittura privata autenticata) attestante l’effettivo svincolo della somma già mutuata (e ritrasferita alla mutuante) in favore della parte mutuataria, sorgendo in capo a quest’ultima, solo da tale momento, l’obbligazione di restituzione di detto importo” (v. la recentissima Cass., 12007/2024).

Il tema centrale dell’ordinanza di rinvio presenta numerose difficoltà interpretative e costituisce questione di massima particolare importanza, essendo in parte già oggetto di altro precedente giurisprudenziale della stessa Corte di Cassazione.

Il riferimento è all’ordinanza interlocutoria n. 18903 del 10 luglio 2024, che ha rimesso alle Sezioni Unite la questione, seppur differente da quella affrontata dal Tribunale di Siracusa, riguardante il c.d. ‘mutuo solutorio’ stipulato per ripianare la pregressa esposizione debitoria del mutuatario verso il mutuante. Per l’esame dei diversi orientamenti in materia si rinvia ad un nostro precedente commento (v. sul nostro sito l’articolo di Camilla Maranzano “Profili giuridici del mutuo solutorio e la possibile rimessione alle Sezioni Unite”).

In conclusione, la Prima Presidente ha ammesso il rinvio sollevato dal Tribunale di Siracusa assegnando il suo esame alle Sezioni Unite.

Per leggere il testo integrale del decreto della Prima Presidente della Cassazione e dell’ordinanza di rinvio pregiudiziale del Tribunale di Siracusa clicca qui:

https://www.cortedicassazione.it/page/it/ordinanza_pregiudiziale_31072024?contentId=RPC33455

Sullo stesso tema leggi anche sul nostro sito l’articolo di Camilla Maranzano “Profili giuridici del mutuo solutorio e la possibile rimessione alle Sezioni Unite”.

Con la sentenza del 26 settembre 2024 nella causa C – 792/22 (Energotehnica), la Corte di Giustizia, nel ribadire il primato del diritto unionale, ha affermato il principio per cui i giudici nazionali devono potersi astenere dal seguire l’interpretazione fornita dalla corte costituzionale di riferimento qualora tale decisione si ponga in contrasto con il diritto dell'Unione e segnatamente nel caso di specie con la direttiva 89/391/CEE in materia di sicurezza e salute dei lavoratori, letta in relazione al principio di effettività ed all’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

1.- I fatti di causa

La vicenda oggetto della sentenza della Corte di Giustizia trae origine da un infortunio sul lavoro verificatosi nel 2017 in Romania. A causa del predetto infortunio perse la vita un elettricista dipendente della soc. Energotehnica che rimase folgorato in occasione di un intervento su un apparecchio di illuminazione esterno.

A seguito del decesso, vennero avviati due procedimenti: un procedimento di indagine amministrativa condotto dall’Ispettorato del Lavoro della Romania nei confronti dell’Energotehnica ed un procedimento penale a carico del responsabile dell’organizzazione del lavoro della società, il sig. MG, per inosservanza delle misure di legge in materia di sicurezza sul lavoro e omicidio colposo.

L’indagine amministrativa avviata dall’Ispettorato del Lavoro si concluse con il verbale d’indagine del 9 settembre 2019 in cui era stata accolta la qualificazione del fatto come «infortunio sul lavoro», ai sensi della normativa nazionale.

In seguito al ricorso proposto in sede amministrativa dalla Società, il verbale fu annullato in quanto secondo il Tribunale Superiore di Sibiu l’evento non costituiva un infortunio sul lavoro.

Il ricorso proposto dall’Ispettorato del Lavoro contro la sentenza del predetto Tribunale fu poi respinto dalla Corte d’appello di Alba Iulia.

Parallelamente si svolgeva il procedimento penale ed il sig. MG veniva rinviato a giudizio dinanzi al Tribunale di primo grado di Rupea della Romania che con la sentenza del 24 dicembre 2021, lo assolveva dai reati respingendo l’azione civile intentata dagli aventi causa della vittima. 

All’esito del giudizio di secondo grado la Corte d’appello di Brașov rilevava che “conformemente al diritto rumeno, come interpretato alla luce della giurisprudenza della Curtea Constituțională (Corte costituzionale, Romania), la decisione del giudice amministrativo si impone al giudice penale a causa dellautorità di cosa giudicata di cui essa è dotata” precisando altresì che “chiarire se levento allorigine del decesso della vittima costituisca un «infortunio sul lavoro», ai sensi della legge sulla sicurezza e la salute sul lavoro, è una questione preliminare, nellaccezione dellarticolo 52 del codice di procedura penale”.

Infine, la Corte d’appello, dopo aver ricordato che con decisione del 17 febbraio 2021 la Corte Costituzionale ha riconosciuto carattere assoluto all’autorità di cosa giudicata delle sentenze civili che dirimono questioni preliminari, ha ricordato di essere vincolata nel caso di specie dalle conclusioni del giudice amministrativo, il quale ha rifiutato di qualificare l’evento come infortunio sul lavoro ai sensi del diritto rumeno.

Ciò considerato, continua la Corte, l’autorità di cosa giudicata di cui è munita una siffatta qualificazione impedisce di pronunciarsi sulla responsabilità penale o civile delle parti sottoposte a procedimento penale, dal momento che detta qualificazione costituisce un elemento costitutivo del reato. 

D’altra parte, rileva sempre la Corte, il procedimento amministrativo ha visto come parti contrapposte solo l’Energotehnica e l’Ispettorato del Lavoro, mentre non sono state ascoltate le parti civili, costituitesi invece nel procedimento penale.

Secondo la Corte d’appello “tale impossibilità di statuire sul sorgere della responsabilità penale o civile, laddove le parti ascoltate nei due procedimenti non sono le stesse, minerebbe il principio della responsabilità del datore di lavoro e quello della tutela dei lavoratori, sanciti dall’articolo 1, paragrafi 1 e 2, e dall’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 89/391, letti alla luce dell’articolo 31, paragrafo 1, della Carta”.

La Corte d’appello di Brașov ha dunque sospeso il procedimento sottoponendo alla Corte di Giustizia due questioni pregiudiziali

2. - Sulla prima questione pregiudiziale

Con la prima questione pregiudiziale, il giudice del rinvio si è chiesto in sostanza “se l’articolo 1, paragrafi 1 e 2, e l’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 89/391, in combinato disposto con l’articolo 31 della Carta e con il principio di effettività, debbano essere interpretati nel senso che ostano alla normativa di uno Stato membro, come interpretata dalla corte costituzionale di tale Stato membro, in forza della quale la sentenza definitiva di un giudice amministrativo relativa alla qualificazione di un evento come «infortunio sul lavoro» riveste autorità di cosa giudicata dinanzi al giudice penale, nel caso in cui tale normativa non consente agli aventi causa del lavoratore vittima di tale evento di essere ascoltati in nessun procedimento in cui si statuisca sull’esistenza di siffatto infortunio sul lavoro”.

Nell’ambito della risoluzione della prima questione pregiudiziale la Corte di Giustizia ha ricordato in via preliminare la rilevanza nel caso in esame del diritto a una tutela giurisdizionale effettiva, garantito dall’articolo 47 della Carta.

Inoltre, con specifico riferimento alle normative in tema di organizzazione del lavoro la Corte ha ricordato altresì l’importanza nel caso di specie della Direttiva 89/391, che ha lo scopo di attuare misure preventive volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro, in modo da assicurare un miglior livello di protezione.

I principi generali fissati dalla Direttiva sono relativi alla prevenzione dei rischi professionali e alla protezione della sicurezza e della salute, all’eliminazione dei fattori di rischio e di incidente nonché direttive generali per l’attuazione di tali principi.

D’altra parte, afferma la Corte, “la direttiva 89/391, pur facendo riferimento al principio della responsabilità del datore di lavoro, e pur stabilendo obblighi generali relativi alla protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori in tutti gli aspetti connessi al lavoro, non contiene alcuna disposizione specifica relativa alle modalità procedurali dei ricorsi diretti a far sorgere la responsabilità del datore di lavoro che non abbia rispettato tali obblighi”.

Inoltre, ricorda sempre la Corte nella sentenza in commento che il diritto dell’Unione non armonizza le procedure applicabili al sorgere della responsabilità del datore di lavoro in caso di inosservanza delle condizioni stabilite dall’articolo 4, paragrafo 1, e dall’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 89/391.

Tali procedure, come è noto, “rientrano nell’ordinamento giuridico interno degli Stati membri, in forza del principio dell’autonomia procedurale di questi ultimi, a condizione, tuttavia, che non siano meno favorevoli rispetto a quelle relative a situazioni analoghe assoggettate al diritto interno (principio di equivalenza) e non rendano in pratica impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dal diritto dell’Unione (principio di effettività)”.

La Corte precisa però che gli Stati membri sono tenuti a definire le modalità procedurali dei ricorsi giurisdizionali destinati ad assicurare la salvaguardia dei diritti conferiti dalla direttiva 89/391 in modo da garantire il rispetto del diritto ad un ricorso effettivo e a un giudice imparziale, sancito dall’articolo 47 della Carta, che costituisce una riaffermazione del principio della tutela giurisdizionale effettiva. 

Per cui è compito degli Stati membri quello di assicurarsi che le modalità concrete di esperimento dei mezzi di ricorso a causa di una violazione degli obblighi previsti da tale direttiva non pregiudichino in modo sproporzionato il diritto a un ricorso effettivo sancito come già detto dall’art. 47 della Carta e che si compone anche del “diritto ad essere ascoltato”

In altre occasioni la Corte ha ritenuto incompatibile con il diritto fondamentale a una tutela giurisdizionale effettiva “che si ponessero alla base di una decisione giudiziaria circostanze e documenti di cui le parti stesse, o una di esse, non abbiano avuto conoscenza e sui quali non abbiano, conseguentemente, potuto esprimersi”.

Alla luce dei predetti principi risulta evidente allora la lesione dei diritti delle parti civili che nel perseguire, nell’ambito del procedimento penale, l’accertamento della responsabilità dell’imputato, si sono trovate

nell’impossibilità di prendere posizione in merito ad una condizione necessaria per il sorgere di detta responsabilità, accertata con efficacia di giudicato nel procedimento amministrativo a cui non hanno potuto prendere parte.

In conclusione sulla prima questione pregiudiziale la Corte di Giustizia ha affermato il seguente principio: “Alla luce di quanto sopra, occorre rispondere alla prima questione che l’articolo 1, paragrafi 1 e 2, nonché l’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 89/391, letti in combinato disposto con il principio di effettività e con l’articolo 47 della Carta, devono essere interpretati nel senso che ostano alla normativa di uno Stato membro, come interpretata dalla corte costituzionale di tale Stato membro, in forza della quale la sentenza definitiva di un giudice amministrativo relativa alla qualificazione di un evento come «infortunio sul lavoro» riveste autorità di cosa giudicata dinanzi al giudice penale chiamato a pronunciarsi sulla responsabilità civile in forza dei fatti addebitati all’imputato, nel caso in cui tale normativa non consenta agli aventi causa del lavoratore vittima di tale evento di essere ascoltati in nessun procedimento in cui si statuisca sull’esistenza di siffatto infortunio sul lavoro”.

2. - Sulla seconda questione pregiudiziale 

Con la seconda questione pregiudiziale il giudice del rinvio si è invece chiesto “se il principio del primato del diritto dell’Unione debba essere interpretato nel senso che esso osta alla normativa di uno Stato membro in base alla quale gli organi giurisdizionali nazionali di diritto comune non possono, a pena di procedimenti disciplinari a carico dei loro membri, disapplicare d’ufficio decisioni della corte costituzionale di tale Stato membro, sebbene ritengano, alla luce dell’interpretazione fornita dalla Corte, che tali decisioni violino i diritti che i singoli traggono dalla direttiva 89/391”.

In via preliminare, la Corte di Giustizia ha ricordato che il principio di interpretazione conforme impone ai giudici nazionali di prendere in considerazione il diritto interno nel suo insieme e di applicare i metodi di interpretazione riconosciuti da quest’ultimo, “al fine di garantire la piena efficacia della direttiva di cui trattasi e di pervenire a una soluzione conforme allo scopo perseguito da quest’ultima”. 

Tale principio include in particolare l’obbligo, per i giudici nazionali, “di modificare, se del caso, una giurisprudenza consolidata se questa si basa su un’interpretazione del diritto nazionale incompatibile con gli scopi di una direttiva”.

Per quanto riguarda il sorgere di un’eventuale responsabilità disciplinare di un giudice nazionale, la Corte ha ricordato che il diritto dell’Unione “osta a una normativa o a una prassi nazionale che consente di contestare un illecito disciplinare a un giudice nazionale per qualsiasi inosservanza delle decisioni di una corte costituzionale nazionale”. Ed inoltre appare essenziale, proprio al fine di preservare l’indipendenza della magistratura, non esporre i giudici di diritto comune a procedimenti o sanzioni disciplinari per aver esercitato la facoltà di adire la Corte ai sensi dell’articolo 267 del TFUE, la quale rientra nella loro competenza esclusiva.

In conclusione, la Corte ha risposto alla seconda questione pregiudiziale affermando il seguente principio:  “il principio del primato del diritto dell’Unione deve essere interpretato nel senso che esso osta alla normativa di uno Stato membro in base alla quale gli organi giurisdizionali nazionali di diritto comune non possono, a pena di procedimenti disciplinari a carico dei loro membri, disapplicare d’ufficio decisioni della corte costituzionale di tale Stato membro, sebbene ritengano, alla luce dell’interpretazione fornita dalla Corte, che tali decisioni violino i diritti che i singoli traggono dalla direttiva 89/391”.

Per leggere il testo della sentenza integrale clicca qui

https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/HTML/?uri=CELEX:62022CJ0792

Con l’ordinanza n. 25023 del 17 settembre 2024 la Corte di Cassazione si è pronunciata in tema di responsabilità dell’avvocato ritenendo che “la perdita della possibilità di una "mera partecipazione" ad un giudizio, nell'ipotesi di omessa impugnazione del provvedimento giudiziario sfavorevole da parte del difensore incaricato, non vale ad integrare, di per sé, un danno risarcibile, poiché un tale danno è configurabile soltanto ove sussista la lesione di un interesse tutelato dall'ordinamento che, nel caso, va rinvenuto nell' interesse al "bene della vita" del cliente per il cui soddisfacimento è unicamente diretto l'adempimento dell'obbligazione di diligenza professionale forense e cioè … l' interesse a "vincere la causa", a vedersi riconosciute le "proprie ragioni" e, quindi, ad ottenere tutela dei propri diritti/interessi legittimi”.

La questione di diritto affrontata nell’ordinanza in commento dalla Cassazione riguarda la risarcibilità o meno del danno da perdita di chance rappresentato dalla mera perdita della possibilità di partecipare ad un giudizio, derivante dall’inadempimento dell’obbligazione professionale assunta dall’avvocato nei confronti del cliente e se tale danno possa considerarsi un danno distinto da quello eziologicamente correlato al mancato riconoscimento delle proprie ragioni (la 'vittoria della causa'), da provarsi in base a criteri probabilistici.

La responsabilità dell'avvocato, per un orientamento ormai consolidato della giurisprudenza di legittimità, non può affermarsi per il solo fatto del non corretto adempimento dell'attività professionale. Occorre, come chiarito in numerose occasioni dalla Cassazione, verificare se l'evento produttivo del pregiudizio lamentato dal cliente sia riconducibile alla condotta del suo difensore, se un danno vi sia stato effettivamente ed, infine, se, ove il difensore avesse tenuto il comportamento dovuto, alla stregua di criteri probabilistici, il suo assistito avrebbe conseguito il riconoscimento delle proprie ragioni, difettando, altrimenti, la prova del necessario nesso eziologico tra la condotta del legale, commissiva od omissiva, ed il risultato derivatone.

Nell’ordinanza in commento la Corte ha ricordato che occorre poi distinguere tra “l’omissione di condotte che, se tenute, sarebbero valse ad evitare l'evento dannoso, dall'omissione di condotte che, viceversa, avrebbero prodotto un vantaggio".

Solo nella prima ipotesi l'evento dannoso si verifica quale conseguenza dell'omissione; nella seconda ipotesi, precisa la Corte, "il danno... deve costituire oggetto di un accertamento prognostico, dato che il vantaggio patrimoniale che il danneggiato avrebbe tratto dalla condotta altrui, che invece è stata omessa, non si è realmente verificato e non può essere empiricamente accertato".

La responsabilità dell’avvocato per l’omessa impugnazione del provvedimento sfavorevole (nello specifico il tardivo deposito di atto di appello) rientra in questa seconda ipotesi, per cui l’esito del giudizio "non può essere accertato in via diretta, ma solo in via presuntiva e prognostica" – in base alla regola della preponderanza dell'evidenza o del 'più probabile che non”.

In tal caso, l'affermazione della responsabilità risarcitoria implica una valutazione prognostica positiva circa la ragionevole probabilità che l'azione giudiziale, che avrebbe dovuto essere proposta e diligentemente seguita, abbia un esito favorevole.

Ciò premesso, la Corte nell’ordinanza in commento è passata ad esaminare le ragioni che inducono ad escludere che la 'mera' perdita della possibilità di partecipare ad un giudizio, per effetto dell'inadempimento dell'avvocato alla sua obbligazione professionale, possa costituire un danno, di per sé, risarcibile, a prescindere da una correlazione con il risultato 'utile cui mira il giudizio stesso.

Le ragioni, ha affermato la Corte, dipendono dalla natura dell’obbligazione professionale dell’avvocato "di mezzi e non di risultato" in quanto “il professionista si fa carico non già dell'obbligo di realizzare il risultato cui il cliente aspira, bensì dell'obbligo di esercitare diligentemente la propria professione, che a quel risultato deve pur sempre essere finalizzata”.

In tempi recenti la Corte di Cassazione ha affermato in tema di obbligazioni professionali principi importanti che, anche se espressi in materia di professioni sanitarie, hanno una portata generale e risultano applicabili anche alla professione forense.

Nelle obbligazioni professionali, ha di recente affermato la Corte, “occorre distinguere tra un interesse strumentale, affidato alla cura della prestazione oggetto di obbligazione (art. 1174 c.c.), e un interesse primario, o presupposto, del creditore. L' interesse strumentale è quello che connota la prestazione oggetto dell'obbligazione, ossia il rispetto delle leges artis nella cura dell'interesse del creditore. L'interesse primario o presupposto non è, invece, dedotto in obbligazione, ma è, però, intimamente connesso a quello strumentale "già sul piano della programmazione negoziale e dunque del motivo comune rilevante al livello della causa del contratto" (v. Cass. n. 28992/2019).

Calando i predetti principi nel caso dell'obbligazione di diligenza professionale dell'avvocato, nell’ordinanza in commento, la Corte ha chiarito che “l'interesse primario del cliente/creditore è la "vittoria della causa", così come nell'obbligazione del medico tale interesse è la "guarigione dalla malattia".

Ne deriva che il "danno evento nelle obbligazioni di diligenza professionale riguarda... non l' interesse corrispondente alla prestazione ma l' interesse presupposto", per cui l' inadempimento della prestazione dedotta in obbligazione comporterà certamente la lesione dell' interesse strumentale, ma non necessariamente di quello primario/presupposto, ponendosi, dunque, l'esigenza di dimostrare che la condotta contraria alle leges artis abbia determinato, eziologicamente, la lesione dell' interesse primario/presupposto e, dunque, il danno evento”.

Per cui la responsabilità risarcitoria dell'avvocato non può sussistere soltanto in ragione dell'inadempimento dell'incarico professionale (e, dunque, come conseguenza unicamente della lesione dell'interesse strumentale dedotto in obbligazione).

Nel perimetro dell'inadempimento, e quindi della lesione dell'interesse strumentale, si collocherà, afferma la Cassazione, anche la condotta imperita/negligente dell'avvocato che abbia cagionato la perdita della possibilità di partecipare ad un giudizio.

Tuttavia, precisa la Corte, “ai fini del risarcimento del danno si rende necessaria, altresì, la prova del nesso eziologico tra la condotta del legale, commissiva od omissiva, e il risultato che ne è derivato, ovvero che si sia determinata, in termini di giudizio prognostico, la lesione dell'interesse primario del cliente stesso e cioè la mancata "vittoria della causa" o, in altri ma sovrapponibili termini, il mancato "riconoscimento delle proprie ragioni" nella sede giudiziaria. Diversamente, in assenza di quest'ultimo interesse – che è, in altri termini, l'interesse al c.d. "bene della vita" – non potrà esserci danno risarcibile”.

In conclusione la Corte ha pronunciato il seguente principio di diritto: "non costituisce un interesse giuridicamente tutelabile quello a proporre una impugnazione infondata; ne consegue che la tardiva proposizione, da parte dell'avvocato, di un appello privo di ragionevoli probabilità di accoglimento non costituisce per il cliente un danno risarcibile, e non fa sorgere per l'avvocato un obbligo risarcitorio, nemmeno sotto il profilo della perdita della chance della mera partecipazione al giudizio di impugnazione".

linkedin facebook pinterest youtube rss twitter instagram facebook-blank rss-blank linkedin-blank pinterest youtube twitter instagram