In caso di scioglimento dell’unione civile, l’assegno divorzile deve essere determinato secondo i medesimi criteri sostanziali già applicati nel caso di scioglimento del matrimonio, dovendosi porre a carico della parte richiedente sia la prova dell’esigenza assistenziale che la prova dei requisiti del ricorso ad una funzione perequativa.
Questo, in estrema sintesi, il principio affermato dalla Cassazione, con ordinanza del 17 settembre 2025, n. 25495.
L’antefatto processuale
La vicenda processuale trae origine dalla domanda di scioglimento dell'unione civile, a fronte della quale la parte convenuta aveva richiesto il riconoscimento dell’assegno.
Il Tribunale aveva accertato il diritto all’assegno in favore della parte che non disponeva dei mezzi di sostentamento necessari, mentre la Corte d’Appello avevano respinto la domanda avente ad oggetto il riconoscimento di detto assegno.
La Corte di Cassazione aveva invece cassato la sentenza di merito, rinviando alla medesima Corte territoriale per un nuovo accertamento dei presupposti necessari per il riconoscimento dell'assegno, da valutarsi “in relazione alla diversa prospettiva temporale segnata dall'estensione della durata del rapporto al periodo di convivenza che ha preceduto la costituzione dell'unione civile”.
La Corte d’appello, adita in sede di rinvio, nel determinare l’assegno spettante alla richiedente, ha valorizzato il carattere assistenziale – compensativo del contributo, riscontrando, da un lato, una disparità economica tra le parti e, dall’altro, il sacrificio di prospettive reddituali e di carriera, per essersi la parte richiedente dimessa, in ragione della convivenza, da un posto di lavoro privato, optando per il lavoro pubblico.
La decisione della Corte di Cassazione
L’ordinanza in commento sottolinea, innanzi tutto, che la Corte d’Appello ha fatto corretta applicazione dei principi delle Sezioni Unite (sentenza n. 35385 del 18 dicembre 2023, pubblicata sul nostro sito, Assegno di divorzio: rileva anche il periodo di convivenza prematrimoniale), che ritiene rilevanti gli eventi antecedenti alla formalizzazione della unione civile, poiché “negare rilevanza alla convivenza di fatto tra persone del medesimo sesso, successivamente sfociata nella costituzione di un'unione civile, per il solo fatto che la relazione ha avuto inizio in epoca anteriore all'entrata in vigore della L. n. 76 del 2016, si tradurrebbe inevitabilmente in una violazione dell'art. 8 della CEDU, oltre che in un'ingiustificata discriminazione a danno delle coppie omosessuali, il cui proposito di contrarre un vincolo formale non ha potuto concretizzarsi se non a seguito dell'introduzione della disciplina delle unioni civili, a causa della precedente mancanza di un quadro giuridico idoneo ad assicurare il riconoscimento del relativo status e dei diritti ad esso collegati”.
Allo stesso tempo, l’ordinanza in esame individua un errore di diritto nell’individuazione della perdita di una chance lavorativa quale presupposto sufficiente per il riconoscimento dell’assegno per lo scioglimento dell’unione civile, in ciò rinvenendo sia l’esigenza assistenziale che la funzione perequativa.
La Corte, attraverso il richiamo alla giurisprudenza formatasi con riguardo al divorzio nell’ambito del matrimonio, muove dalla distinzione tra:
Pertanto, la funzione assistenziale dell’assegno di divorzio è diversa da quella dell’assegno di separazione e “non risponde alla esigenza di perequare, sempre ed in ogni caso, la disparità economica tra le parti; diversamente si farebbe riemerge il criterio del diritto a mantenere il medesimo tenore di vita proprio della convivenza matrimoniale” (Cass., Sez. Un., n. 35969/2023).
In tema di assegno divorzile, di esigenza assistenziale può parlarsi quando “l’ex coniuge sia privo di risorse economiche bastanti a soddisfare le normali esigenze di vita, sì da vivere autonomamente e dignitosamente, e non possa in concreto procurarsele … malgrado il ragionevole sforzo che gli si può richiedere in virtù del principio di autoresponsabilità”. La funzione assistenziale può da sola giustificare il riconoscimento di un assegno, il cui ammontare, però, in tal caso, rimane ancorato ai parametri di cui all’art. 438 c.c., e dunque a quanto è necessario per soddisfare le esigenze esistenziali dell’avente diritto.
Ove ricorra anche la funzione perequativa compensativa, “se lo squilibrio economico sia conseguenza delle scelte fatte nella vita matrimoniale, esso va parametrato al contributo che il richiedente dimostri di avere dato alla formazione del patrimonio comune o dell'altro coniuge durante la vita matrimoniale”. E ciò a prescindere dal mantenimento del pregresso tenore di vita.
Tali principi, accreditatisi presso la giurisprudenza di legittimità con riguardo all’assegno divorzile, devono trovare applicazione, secondo la Cassazione, anche con riferimento all’assegno richiesto a seguito dello scioglimento dell’unione civile.
Infatti, “anche l'unione civile, quale «specifica formazione sociale ai sensi degli articoli 2 e 3 della Costituzione», benché rappresenti un istituto diverso dall’archetipo del matrimonio e dal paradigma della famiglia come società naturale che su di esso si fonda, è espressione di una comunità degli affetti nel disegno pluralistico dei modelli familiari che si registra a seguito dell’evoluzione sociale e dei costumi”. E pertanto all’unione civile si applica il comma 6 dell’art. 5 della Legge sul divorzio.
Applicando i parametri tracciati dal Supremo Collegio al caso di specie: