Se il contratto di locazione viene dichiarato nullo per carenza di forma scritta deve essere disposta la restituzione dei canoni corrisposti, salva l’eccezione di ingiustificato arricchimento del conduttore.
Questo il principio affermato dalla Cassazione, con ordinanza n. 32696 del 16 dicembre 2024.
La vicenda sottesa alla decisione in commento è di particolare interesse pratico. La parte ricorrente aveva agito per ottenere la declaratoria di nullità del contratto di locazione (nella fattispecie, di una singola stanza all’interno di una abitazione) in quanto carente di forma scritta e la restituzione dei canoni corrisposti fino al rilascio. La Corte d’Appello di Roma, pur dichiarando la nullità del contratto di locazione, aveva rigettato la domanda restitutoria, sul presupposto che il conduttore aveva comunque goduto dell’immobile, sicché, per effetto della restituzione integrale dei canoni, si sarebbe determinato, in suo favore, un arricchimento senza causa.
L’ordinanza in esame accoglie il primo motivo di ricorso, nell’ambito del quale il ricorrente ha denunciato la violazione dell’art. 112 c.p.c. per avere i giudici del merito ravvisato d’ufficio l’ingiustificato arricchimento, in carenza di iniziativa assunta dalla controparte ai sensi degli artt. 2041 e 2042 c.c.
Per altro verso, era stata denunciata la violazione dell'art. 2033 c.c., sul rilievo che tale articolo “doveva essere applicato interamente in mancanza di valida ed efficace paralisi "ope exceptionis"".
Il Supremo collegio muove dal presupposto che “qualora venga acclarata la mancanza di una causa adquirendi - tanto nel caso di nullità, annullamento, risoluzione o rescissione di un contratto, quanto in quello di qualsiasi altra causa che faccia venir meno il vincolo originariamente esistente - l'azione accordata dalla legge per ottenere la restituzione di quanto prestato in esecuzione del contratto stesso è quella di ripetizione di indebito oggettivo". E ciò anche “quando la controprestazione (come quella effettuata, nella specie da parte locatrice, con la concessione del godimento del bene) non sia ripetibile”. Infatti, “con specifico riferimento ai contratti ad esecuzione continuata (come la locazione che qui ci occupa) o periodica, l'esigenza di rispetto dell'equilibrio sinallagmatico tra le prestazioni è normativamente prevista solo per l'ipotesi di risoluzione per inadempimento, giacché l'art. 1458 cod. civ. espressamente sottrae i suddetti contratti all'effetto retroattivo, con una norma che - proprio per la sua eccezionalità - non è suscettibile di essere estesa all'ipotesi che qui ricorre di insussistenza ab origine della causa adquirendi, per nullità del contratto" (così, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 11 ottobre 2016, n. 20383).
In altre parole, la natura eccezionale delle previsioni legislative in cui è prevista l’irripetibilità delle prestazioni eseguite, in caso di nullità (come nel caso della disposizione dell’art. 2126 c.c., dettato a tutela dei diritti fondamentali dei lavoratori), rende non generalizzabile tale disciplina.
Non mancano precedenti di segno contrario, con i quali l’ordinanza in esame si è confrontata. In particolare:
Pertanto, il Supremo Collegio conclude che ricorrendo l'ipotesi della nullità della locazione, in relazione alla pretesa del conduttore di conseguire la restituzione di quanto versato in esecuzione del contratto nullo, “il valore della (contro)prestazione - dallo stesso, comunque, fruita - può venire in rilievo solo "in funzione dell'eliminazione dello squilibrio determinatosi a seguito del conseguimento di un'utilità economica da parte del soggetto con correlativa diminuzione di altro soggetto", e dunque "nei limiti dell'arricchimento e dell'impoverimento, della parte che, rispettivamente, abbia ricevuto o effettuato la prestazione di un contratto nullo”. Ciò, però, può avvenire “non già sulla base della determinazione fattane dalle parti con il contratto nullo, bensì in esito ad una valutazione oggettiva dell'utilità conseguita, entro i limiti della diminuzione patrimoniale subita dall'esecutore della prestazione resa in virtù del contratto invalido”. Infatti, “l'indennità prevista dall'art. 2041 cod. civ. va liquidata nei limiti della diminuzione patrimoniale subita dalla parte nell'erogazione della prestazione e non in misura coincidente con il mancato guadagno che la stessa avrebbe potuto trarre dall'instaurazione di una valida relazione contrattuale”.
Dunque, il giudice del merito può escludere la restituzione dei canoni corrisposti sino al rilascio dell’immobile solo in presenza di una eccezione di ingiustificato arricchimento e nei limiti della effettiva diminuzione patrimoniale in capo al locatore, sulla base di una valutazione da compiersi in concreto.