La lavoratrice che pratica un’ora di attività fisica durante i giorni di permesso ex l. 104/92 può essere legittimamente licenziata?

La Cassazione ha recentemente affrontato il caso di una lavoratrice, dipendente di un istituto di credito, che era stata licenziata per reiterato (presunto) abuso utilizzo di permessi concessi per l’assistenza ad un familiare disabile (ordinanza n. 14763 del 1° giugno 2025).

La Corte d’appello aveva accolto il reclamo della lavoratrice, condannando la datrice alla reintegra nel posto di lavoro. Quanto all’utilizzo dei permessi, la Corte aveva rilevato che costituiva dato accertato che la lavoratrice, nei giorni indicati nelle contestazioni, durante l’intero arco della giornata, fosse sempre stata presente presso la propria abitazione dove era ricoverato il familiare disabile, ad eccezione dei periodi, della durata variabile, fra mezz’ora ed un’ora e cinquanta minuti, durante i quali si allontanata, con vestiti sportivi, per praticare una camminata veloce. Inoltre – da quanto si evince dalla pronuncia - era emerso che tale attività costituiva un preciso percorso terapeutico per la lavoratrice e che, anche durante i periodi di assenza, l’assistenza era garantita dalla presenza di una collaboratrice familiare con la quale la lavoratrice rimaneva in costante contatto durante la camminata. Su tali premesse fattuali, la Corte d’appello aveva ritenuto insussistente la contestazione disciplinare relativa al presunto abuso dei permessi.

Nel valutare i motivi di ricorso proposti dalla Banca datrice di lavoro, la Cassazione ha ricordato la pacifica giurisprudenza di legittimità secondo la quale può costituire giusta causa di licenziamento lo svolgimento, da parte del lavoratore che fruisca di permessi ex l. 104/1992, di attività diverse dall’assistenza al familiare disabile, con violazione della finalità per la quale il beneficio è concesso (per un approfondimento circa tale orientamento si veda Può essere licenziato il lavoratore che svolge attività diverse dall’assistenza al familiare disabile mentre fruisce dei permessi ex l. 104/1992?).

In coerenza con la ratio del beneficio – ricorda la Cassazione – l’assenza dal lavoro per la fruizione del permesso deve porsi in relazione diretta con l’esigenza per il cui soddisfacimento il diritto stesso è riconosciuto, ossia l’assistenza al disabile. La norma non consente di utilizzare il permesso per esigenze diverse da quelle proprie della funzione cui è preordinata: il beneficio comporta un sacrificio organizzativo per il datore di lavoro, giustificabile solo in presenza di esigenze riconosciute dal legislatore (e dalla coscienza sociale) come meritevoli di superiore tutela. Ove il nesso causale tra assenza dal lavoro ed assistenza del disabile manchi del tutto, non può riconoscersi un uso del diritto coerente con la sua funzione e, dunque, si è in presenza di un uso improprio ovvero di un abuso del diritto, oppure, secondo una distinta prospettiva, di una grave violazione dei doveri di correttezza e buona fede sia nei confronti del datore di lavoro che dell’ente assicurativo.

Tuttavia – precisa la Corte – in relazione a fattispecie concrete maggiormente simili a quella affrontata, è stato già precisato che i permessi in esame sono delineati quali permessi giornalieri (tre al mese) e non su base oraria o cronometrica, e che possono essere fruiti a condizione che il familiare non sia ricoverato a tempo pieno.

Nel caso di specie, la datrice, nel censurare la sentenza d’appello, aveva lamentato che la Corte territoriale avesse errato nell’affermare che allontanarsi dal disabile nel corso della fruizione del permesso per un arco temporale variabile fra mezz’ora e un’ora e cinquantacinque minuti ogni mattina per praticare una camminata veloce costituisse “attività che si collocherebbe in relazione causale diretta con l’assistenza al disabile tale da costituire attività che rientri nell’ambito della necessità utile al bisognoso”.

Secondo la Cassazione, la deduzione della Banca sarebbe il risultato di un fraintendimento della ratio decidendi della Corte d’appello. Quest’ultima, infatti, dopo aver operato l’accertamento fattuale sopra ricordato, aveva considerato che la funzione di assistenza al disabile non viene meno solo perché, nell’ambito dell’intera giornata, il lavoratore riservi alle proprie esigenze personali un limitato lasso di tempo, utile per il recupero delle energie spese nell’attività svolta in favore della persona disabile, ancor più nei casi in cui, come quello oggetto della causa, tale lasso di tempo venga dedicato allo svolgimento di un’attività di carattere terapeutico.

Inoltre, era stato accertato che la lavoratrice era rimasta durante tutte le giornate oggetto di contestazione presso la propria abitazione, allontanandosi unicamente solo per quei limitati lassi di tempo, durante i quali, oltretutto, aveva tenuto sotto controllo la situazione con l’ausilio della collaboratrice.

La decisione della Corte territoriale, dunque, secondo la Cassazione, era conforme ai principi di diritto sopra ricordati.

Il ricorso, pertanto, è stato rigettato.

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Maria Santina Panarella
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