La Corte di cassazione ha rimesso alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea due questioni in materia di rapporto di lavoro subordinato a tempo determinato nel settore agricolo (ord. interl. n. 12572 del 12 maggio 2025).
La vicenda aveva preso le mosse dai ricorsi di due operai che avevano collaborato presso una stessa azienda agricola con una pluralità di contratti a termine e che avevano chiesto la costituzione di rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato.
La Corte d’Appello aveva respinto la domanda, ritenendo che l’esclusione del lavoro agricolo a termine dalla disciplina generale sul contratto a tempo determinato (art. 10, co. 2, d.lgs. 368/01, oggi art. 29, co. 1, lett. b, d.lgs. 81/15) sarebbe compensata da una norma di fonte collettiva (art. 20 CCNL operai agricoli) la quale, riconoscendo il diritto alla trasformazione per chi abbia prestato almeno 180 giornate di lavoro effettivo in 12 mesi, garantirebbe un adeguato presidio contro gli abusi nella successione dei contratti a tempo determinato. Secondo la Corte territoriale, la disciplina di fonte collettiva appariva idonea a garantire ai ricorrenti il livello di tutela richiesto dall’ordinamento europeo.
I lavoratori avevano proposto ricorso per cassazione lamentando la violazione dell’art. 117, comma 1, Cost., in relazione al considerando n. 6 e alla clausola n. 5 della Direttiva 1999/70/CE relativa al lavoro a tempo determinato, che non consentirebbero la reiterazione senza limiti dei contratti a tempo determinato.
La Corte di Cassazione, dopo aver riassunto il quadro normativo di riferimento, richiamando le disposizioni rilevanti di diritto nazionale (il d. lgs. n. 368/2001, adottato in “Attuazione della direttiva 1999/70/CE relativa all'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dall'UNICE, dal CEEP e dal CES, e l’art. 29 del d.lgs. 81/205 art. 29), e quelle contenute nella contrattazione collettiva nazionale applicata dalle parti, nonché il diritto dell’Unione (la direttiva del Consiglio dell’Unione europea 1999/70/CE del 28 giugno 1999), si è soffermata sulla interpretazione fornita dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea in ordine alle disposizioni della direttiva 1999/70/CE.
La Cassazione ha reputato pregiudiziale alla soluzione della controversia sottopostale una questione di interpretazione del diritto dell’Unione europea - secondo cui il contratto a tempo determinato risponde, “in alcune circostanze”, anche alle esigenze del lavoratore - onde verificare se la clausola 5 dell’Accordo quadro europeo, letta anche alla luce del Preambolo e del decimo considerando che demandano agli Stati membri e alle parti sociali di formulare disposizioni che tengano conto delle “realtà specifiche”, delle “circostanze”, delle “esigenze” di particolari settori, quale certamente è quello del lavoro in agricoltura, osti o meno ad una normativa interna come quella riassunta dalla Corte.
Questi, dunque, i quesiti oggetto del rinvio pregiudiziale: